Onorevoli Colleghi! - A seguito delle segnalazioni di aggressioni canine l'allora Ministro della salute ha elencato, ormai tre anni orsono, per la «tranquillità e la sicurezza» dei cittadini, un numero di razze di cani «potenzialmente pericolosi». È tuttavia evidente che l'ordinanza del 9 settembre 2003, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 212 del 12 settembre 2003, è dettata da una logica emergenziale e dall'intento di corrispondere, peraltro non cogliendo il reale problema, all'allarme sociale provocato dalle aggressioni e amplificato dai mass-media. L'ordinanza del Ministro della salute Sirchia ha diviso l'opinione pubblica e ha probabilmente sottovalutato la tutela degli incriminati: i cani.
      Il provvedimento è andato ad inserirsi, così, in un clima di panico: i civili possessori di cani di grossa taglia additati come potenzialmente pericolosi vengono penalizzati dalle restrizioni e soprattutto dal pensiero popolare istigato così alla cinofobia.
      Si ha l'impressione che questo problema sia stato notevolmente ingigantito e soprattutto mal gestito.
      Né va dimenticato il benessere degli almeno 100.000 cani definiti pericolosi e individuati come tali dall'opinione pubblica, che sarebbero continuamente oggetto di reazioni ingiustificate da parte di cittadini sovraeccitabili. Ben presto il Ministero della salute potrebbe trovarsi di fronte ad emergenze di ben altra natura quale quella della psicosi sociale, con conseguenze gravi sotto il profilo dell'abbandono, ma anche della sicurezza dei cittadini. L'episodio dei colpi di arma da fuoco esplosi contro due pit-bull in un giardino pubblico ci sembra indicativo di tale rischio.
      Si registra una regolamentazione frammentata del fenomeno, frutto di iniziative regionali o locali, spesso diverse o in contrasto fra di loro, dettate più da reazioni istintive a fatti di cronaca che da analisi scientifiche del problema; non è

 

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stato adeguatamente chiarito come l'ordinanza si ponga nei confronti dell'applicazione e dell'applicabilità di questi provvedimenti locali.
      L'ordinanza sembra, a parere del proponente, non avere tenuto nella degna considerazione l'importanza e il ruolo del conduttore di un animale etologicamente predisposto ad essere gestito dall'uomo come se fosse il suo capobranco. Affrontare il problema con risultati vuole necessariamente dire intervenire sulla responsabilizzazione e sulla formazione dei proprietari, degli allevatori e degli addestratori.
      Bisogna partire da un dato di fatto e cioè che i cani possono essere aggressivi, ma essi non vedono nell'uomo una possibile preda e pertanto l'uomo non è in linea di principio oggetto di attacco. Se ciò avviene o vi è alla base un addestramento specifico per l'attacco e la difesa, oppure si creano condizioni che disturbano l'animale e lo spingono verso un comportamento non usuale.
      Una discreta percentuale delle aggressioni è da attribuire ad addestramenti alla difesa e all'attacco che sono di per sé scorretti o, peggio, incompleti, da parte di addestratori o di sedicenti tali che non sono quindi in grado di educare gli animali in modo affidabile, come dovrebbero. Non sono pertanto da sottovalutare controlli, verifiche e autorizzazioni per la categoria degli allevatori-addestratori-educatori cinofili.
      Certamente le condizioni di vita in cui l'animale cresce e si sviluppa ne influenzano in modo determinante il modo di essere. Il cucciolo, a partire dai primi giorni di vita, riceve l'imprinting dalla madre (delicata ed importantissima fase che determina un corretto sviluppo psico-fisico) e, successivamente, sarà sottoposto alla formazione dal proprietario il quale, vuoi inconsapevolmente, per ignoranza o per incapacità, vuoi consapevolmente per trarne guadagno (combattimenti, addestramento alla guardia) o per farne uno status symbol, può spingerlo all'aggressività. L'aggressività, infatti, com'è noto, è una forma comportamentale appresa.
      Fatte queste considerazioni non si deve parlare di predisposizione all'aggressività specie-specifica, ovvero collegata ad una razza o ad un'altra. Certo, vi è una differenza nei danni che razze diverse possono provocare, nel senso che cani di piccola taglia non possono che produrre danni quasi irrisori a differenza di quelli dotati di apparato boccale più sviluppato e forte.
      Non esistendo una particolare predisposizione all'aggressività in alcune razze piuttosto che in altre, non è corretto parlare di razze più pericolose di altre, ma è corretto rivolgere l'attenzione ai proprietari, possessori e detentori di cani che devono essere informati della giusta relazione uomo-animale e formati ad un equilibrato rapporto e soprattutto responsabilizzati nei confronti di tale ed importante ruolo.
      Una notevole percentuale dei casi di morsicatura avviene all'interno delle mura domestiche e soprattutto nei confronti di bambini, a testimonianza del fatto che molti episodi non si possono impedire tramite le norme attualmente previste o già emanate che, infatti, vedono il citato provvedimento del Ministro Sirchia tradursi in una serie di limitazioni coercitive previste laddove il cane venga condotto all'esterno dell'abitazione in cui l'animale vive.
      Questi episodi sono da attribuire, purtroppo, alle diffuse conoscenze imprecise e scorrette del comportamento canino, che attribuiscono un feeling particolare al rapporto cane-bambino. Tale importantissimo e formativo momento di incontro tra specie diverse deve essere costantemente sorvegliato e controllato da adulti responsabili.
      Occorre trasmettere un'adeguata conoscenza del rapporto uomo-animale ai bambini di età scolare e chiamare i proprietari o detentori dei cani alle proprie responsabilità e far loro comprendere che il cucciolo di oggi sarà domani il soggetto adulto il cui sviluppo armonioso dipenderà dall'educazione ricevuta e da come «l'uomo-proprietario o detentore» sarà stato in grado di educarlo ed avrà saputo interpretare
 

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le sue richieste e rispettare le sue esigenze socio-etologiche.
      Queste considerazioni sono fondamentali e pregiudiziali quando si voglia regolamentare una realtà complessa nella quale possono verificarsi incidenti significativi in grado di causare lesioni gravi. Il giudizio sull'aggressività deve sempre scaturire da episodi che provochino danni valutabili oggettivamente, poiché l'aggressività di un cane è determinata da un concorso di cause quali l'addestramento, la cattiva gestione dell'animale e, in ultimo, una selezione genetica mirata a stimolarne l'eccitabilità. Gli studi compiuti negli Stati Uniti dal Center of Disease Control indicano come le razze considerate più «pericolose» varino a seconda della moda e della loro popolarità e reputazione.
      Pertanto, le disposizioni della presente proposta di legge sono finalizzate alla corretta gestione e cura dei cani e alla prevenzione di loro eventuali comportamenti di aggressione che possano procurare danno all'incolumità pubblica.
 

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